Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende istituire, nell'ordinamento giuridico del nostro Paese, il patto civile di solidarietà e disciplinare il riconoscimento giuridico delle famiglie di fatto recuperando, in tale senso, la positiva esperienza maturata in altri Paesi della stessa Unione europea in ordine al riconoscimento della famiglia non fondata esclusivamente sul legame matrimoniale, nel rispetto della pluralità dei rapporti affettivi.
      Nel corso degli ultimi anni, del resto, la struttura della società italiana ha conosciuto cambiamenti profondi e intensi, tanto da avere notevoli effetti sul sistema di idee, di valori, di convinzioni e di atteggiamenti che si attribuiscono alle relazioni esistenti tra i membri della società.
      Sono emersi nuovi orientamenti e propensioni, un insieme di fenomeni che hanno evidenziato e messo in luce, a loro volta, la richiesta del riconoscimento, anche sul piano giuridico, dei nuovi comportamenti sociali, tanto collettivi che individuali.
      Tra i nuovi atteggiamenti vi è certamente un fenomeno di mutamento e di dinamismo sociale che si muove e si è mosso intorno alla valutazione e al concetto stesso di famiglia in quanto formazione sociale e istituzione culturale della comunità e della società nel suo insieme.
      La famiglia continua infatti ad essere percepita e interpretata, anche in sede di elaborazione dottrinale, come uno dei luoghi fondamentali dell'organizzazione sociale, il principale terreno di socializzazione e di integrazione degli individui, e per tali ragioni intesa quale organismo-istituzione che ha trovato e trova ancora oggi particolare fondamento e tutela nella configurazione giuridica, sociale e culturale del Paese; in particolare sotto il profilo delle tutele e della considerazione sociale che se ne dà per gli aspetti e il

 

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ruolo educativo, affettivi e di sostegno economico che svolge per l'intera società.
      Al riguardo l'articolo 1, comma 1, della legge 8 novembre 2000, n. 328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, esplicita che «La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza del reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione». E l'articolo 16 della medesima legge riconosce che tale sistema integrato «sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana» sostenendo altresì le responsabilità individuali e familiari e agevolando l'autonomia finanziaria dei nuclei monoparentali e di coppie giovani con figli.
      La strutturazione e il riconoscimento della famiglia, almeno per il modello prevalente, sono stati affidati a dei requisiti ritenuti dalla stessa dottrina come precondizione essenziale.
      In primo luogo l'esistenza di una «relazione di reciprocità piena tra persone che stanno fra di loro in rapporto di coppia stabile», in secondo luogo l'esistenza del matrimonio «quale atto giuridico solenne da cui discendono diritti e doveri codificati dal legislatore»; infine, una convivenza non occasionale, bensì stabile e continuativa, nella condivisione degli aspetti materiali e spirituali del rapporto e nella predilezione delle relazioni sessuali pressoché esclusive che ne consentono la riproduzione.
      Il modello di riferimento è, sotto questo profilo, la famiglia fondata sul matrimonio, ossia la famiglia come formazione sociale che è una «società naturale» basata sul matrimonio sia civile che concordatario; la cosiddetta «famiglia legittima» di cui all'articolo 29, primo comma, della Costituzione.
      Nella società complessa post-moderna, tuttavia, dove le linee di tendenza e di evoluzione delle condizioni socio-economiche e culturali hanno impresso un processo di cambiamento strutturale delle stesse relazioni di vita tra gli individui, al modello della struttura familiare così costituita si è affiancato e ha trovato pratica realizzazione - in una altrettanto pluralità di nuclei familiari fondati su sfere di relazione pressoché analoghe - un altro modello, quello della cosiddetta «famiglia di fatto»; e ciò sia sotto il profilo della comunione spirituale e materiale - ossia di una valida comunità di vita e di affetti - sia della stabilità e della reciproca solidarietà in funzione della vita in comune.
      Una convivenza frutto di una libera scelta degli individui determinata dal desiderio condiviso di un rapporto che non sia vincolato o fissato da condizionamenti religiosi o giuridici.
      Ciò non significa, naturalmente, che questi cambiamenti abbiano minato o stiano disgregando le fondamenta dell'istituzione familiare; piuttosto che sotto l'impulso e gli effetti di questo dinamismo sociale, improntato su una più intensa libertà soggettiva dei singoli, si siano dapprima affacciati e poi consolidati nella società contemporanea, in forma del tutto spontanea e naturale, modelli e forme di vincoli, di unioni e di legami affettivi e di sistemi di solidarietà, in altre parole una rete di relazioni tra i membri della società pressoché analoga a quella del nucleo familiare basato sull'istituto del matrimonio disciplinato dall'intervento del legislatore.
      Un fenomeno questo conosciuto per l'affermarsi di quelle «unioni di fatto» la cui ampiezza, diffusione e rilevanza sono ampiamente rinvenibili nella società odierna e che hanno avuto pieno riconoscimento da tempo, in ambito legislativo, in molti Paesi della stessa Unione europea come si avrà modo di sottolineare in seguito.
      Il fenomeno delle convivenze non fondate sul matrimonio - sia per un mutato
 

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e interiorizzato atteggiamento sociale che è oggi di larga accettazione, sia per un orientamento della stessa giurisprudenza che da una iniziale chiusura è passata a un atteggiamento più favorevole verso la questione del riconoscimento delle cosiddette «convivenze di fatto», e anche per una serie di interventi normativi che hanno riconosciuto, benché in forma sporadica e non certo organica, alla convivenza more uxorio alcune tutele in campo previdenziale, fiscale, assicurativo e abitativo - ha perciò assunto un grado di rilevanza tale - e non solo sotto l'aspetto squisitamente giuridico - da non poter essere sottovalutato o eluso nei suoi diversi e molteplici aspetti o effetti.
      Una riflessione su questo fenomeno impone pertanto un atteggiamento che tenga conto dei nuovi rapporti che si sono creati nelle relazioni interpersonali tra i membri della società, e tra famiglia e società; un atteggiamento che non assuma un modello predefinito, e tanto meno imponga un modello etico precostituito intervenendo nelle zone di influenza più personali dei rapporti interpersonali, ma che sia pronto a recepire orientamenti, relazioni e mutamenti che provengono da una realtà sociale sempre più complessa e differenziata dando a essa un equilibrato e adeguato riconoscimento. In altre parole, lasciando più ampi spazi di libertà all'organizzazione della vita in comune.
      In questo ambito non si tratta, né potrebbe essere, di contrapporre la «famiglia legittima» fondata sul matrimonio e la «famiglia di fatto» per come si è andata diffondendo nel corso del tempo, nella presunzione che solo la prima, in quanto formazione sociale istituzionalizzata, possa avere ragion d'essere ed essere costituzionalmente tutelata, lasciando la seconda in una condizione di completa marginalità ed esclusione sociale e giuridica; o al contrario di delegittimare o svalutare il valore fondante della prima con il presupposto di affermare la sostanziale identità della seconda.
      Si tratta semmai, anche sulla base di una comparazione dei vari modelli esistenti in Europa, di trovare un punto di equilibrio tra autonomia delle parti interessate e intervento pubblico - come si è peraltro sottolineato in dottrina - nel concetto di «famiglia legale», concetto presumibilmente più idoneo a rappresentare entrambe le identità e le esigenze delle relazioni familiari e della realizzazione della personalità di donne e di uomini nella società, che si realizzano compiutamente al variare della realtà sociale nel volgere degli anni.
      Si è detto che non vi può essere famiglia se non esiste l'atto formale del matrimonio, poiché solo quest'ultimo - inteso come atto giuridico da cui discendono ben precisi diritti e doveri per i coniugi (coabitazione, fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione e contribuzione) - assicura, più di ogni altra forma, l'adempimento di determinate funzioni.
      Tuttavia il citato articolo 29, primo comma, della Costituzione, non nega né implica di per sé l'esistenza o l'irrilevanza della «famiglia di fatto» o naturale, quella che nasce appunto dalla convivenza stabile e continuativa tra due persone sulla base di un vincolo affettivo, poiché una diversa forma di società naturale, indipendentemente dall'istituto del matrimonio, può in ogni caso esistere anche sotto un diverso profilo giuridico, appunto perché fondato - in questo caso - sulla libertà di scelta dei conviventi, prescindendo dalla celebrazione del matrimonio sia esso civile che concordatario.
      E anche in questo caso non vengono certo meno i vincoli affettivi e la messa in comune dei beni materiali per il soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare come avviene, in parallelo, nel caso della famiglia legittima.
      Che nell'articolo 29 della Costituzione non vi sia ostacolo alla individuazione di altre forme di convivenza o di modelli familiari anche alternativi alla famiglia legittima lo si evince dalla configurazione stessa degli articoli 30 e 31, in cui si ribadisce il ruolo fondamentale della famiglia, della sua tutela e degli obblighi dei genitori nei confronti dei figli indipendentemente dall'esistenza del matrimonio;
 

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così come negli stessi articoli 36, primo comma, e 37, primo comma, circa le condizioni del lavoratore e della lavoratrice in funzione dell'adempimento delle funzioni familiari.
      L'assenza di questi ostacoli trova peraltro conferma nelle scelte di libertà individuali di cui all'articolo 2 della Costituzione, laddove si afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» richiedendo i doveri inderogabili di solidarietà; sia, infine, all'articolo 18 dove si afferma il principio della libertà associativa. La famiglia di fatto rientrerebbe pertanto proprio tra quelle «formazioni sociali» previste dall'articolo 2 della Costituzione, e conseguentemente meritevole di tutela al pari della famiglia legittima, dunque con un indubbio quadro di rilevanza costituzionale per la funzione che svolge sul terreno della crescita della persona.
      Sullo stesso diritto di «costituire una famiglia» (articolo 9) separato da quello del matrimonio interviene infine la stessa Unione europea con la Carta dei diritti fondamentali.
      Da quest'insieme di riferimenti emerge una chiara rilevanza costituzionale dell'interesse della singola persona a «realizzarsi» nella famiglia, fondata o meno sul matrimonio.
      Del resto la stessa Corte di cassazione, in una sentenza (si veda Cassazione penale sezione IV, sentenza n. 33305) ha stabilito che sono meritevoli di tutela, oltre a coloro i quali sono legati dall'istituto matrimoniale, tutte quelle persone che vivono insieme, conviventi anche dello stesso sesso, se la convivenza «sia dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per un'attesa di apporto economico futuro e costante».
      Il richiamo alla famiglia di fatto è stato peraltro oggetto di intervento del Consiglio di Stato il quale, in occasione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha avuto modo di sottolineare come (adunanza della sezione III del 9 gennaio 2001 - n. 1915 del 2000) «nel sistema di diritto positivo è la famiglia legittima fondata sul matrimonio ad assumere le prerogative proprie della "società naturale". Ma ciò non significa la irrilevanza del fenomeno sociale, spesso ricorrente, della convivenza senza matrimonio, allorché si stabiliscono aspettative e vincoli di fedeltà, assistenza, reciproca contribuzione agli oneri patrimoniali, in tutto analoghi a quelli che nella famiglia legittima sono imposti dalla legge oltre che dalla solidarietà familiare. (...) L'ordinamento "tende" quindi a riconoscere rilevanza alle situazioni di fatto che abbiano la stessa consistenza di stabilità e serietà di quelle giuridiche, soprattutto in presenza di lesioni a beni della vita di rilievo costituzionale; la famiglia di fatto diviene così in qualche misura equiparabile a quella legittima».
      A conferma di questo orientamento la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 404 del 24 marzo-7 aprile 1988, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, primo comma, della legge n. 392 del 1978 per la parte in cui non prevedeva la titolarità - per la persona convivente stabile - del contratto di locazione in caso di decesso del conduttore e, con sentenza n. 166 del 13 maggio 1988 è intervenuta in materia di figli, accordando al genitore affidatario il diritto ad essere preferito nell'assegnazione dell'abitazione, a tutela dei figli naturali, indipendentemente dalla proprietà relativa all'alloggio adibito ad abitazione familiare.
      Riferimenti specifici e puntuali si ritrovano poi - circa la questione della famiglia di fatto o naturale, o in ogni caso della convivenza tra due persone - in numerose disposizioni legislative o regolamentari.
      Si pensi al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, che, ai fini prettamente anagrafici, qualifica come famiglia non soltanto quella legittima ma anche quella basata su vincoli affettivi e di coabitazione, al di là di ogni intento di equiparazione; alla legge n. 405 del 1975 sull'istituzione dei consultori familiari che
 

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ammette a fruire del servizio erogato non soltanto le famiglie riconosciute dalla legge ma anche le coppie di fatto; all'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, che, con riferimento all'affido di minori, ammette anche la famiglia di fatto ad espletare le funzioni di nucleo provvisorio di accoglienza; e anche l'adozione, sia pure in casi particolari (articolo 44 della citata legge n. 184 del 1983), è consentita, oltre ai coniugi, anche a chi non è coniugato.
      E ancora si pensi all'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, relativa all'ordinamento penitenziario, che consente al detenuto di accedere a permessi di uscita per visitare il coniuge o il convivente in pericolo di vita; all'articolo 2 della legge 4 aprile 2001, n. 154, recante misure contro la violenza nelle relazioni familiari, che introduce il titolo IX-bis del libro I del codice civile, che prevede, su ordine del giudice, l'allontanamento del coniuge o del convivente dalla casa familiare quando la condotta di quest'ultimo è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro; nonché, all'articolo 199 del codice di procedura penale che prevede, in caso di testimonianza, la facoltà di astensione anche per il convivente dell'imputato.
      La presente proposta di legge non intende dunque intaccare, sminuire e tantomeno modificare o interferire con l'ordinamento vigente in materia di matrimonio, bensì riconoscere, prevedere e disciplinare l'esistenza in seno all'ordinamento vigente - e fermo restando il pieno rispetto della libertà e dell'autonomia delle parti - del pluralismo dei rapporti affettivi tra le persone che, per propria scelta o impossibilità, non intendono avvalersi dell'istituto matrimoniale civile o concordatario e che sono soggette, conseguentemente, ad una condizione di ineguale e discriminante trattamento giuridico.
      In tutto ciò vi è il duplice aspetto, perseguito con l'introduzione e il riconoscimento giuridico, rispettivamente, dell'istituto del «patto civile di solidarietà» e delle «famiglie di fatto», di dare concreta attuazione ai richiamati princìpi costituzionali, ivi compreso l'articolo 3 della Costituzione in tema di uguaglianza sostanziale, «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e dunque estendendo tali istituti anche alle persone dello stesso sesso sulla base del principio della non discriminazione.
      Del resto, a conferma di tali princìpi, non sembra ininfluente richiamare l'articolo 13 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni, che reca norme antidiscriminatorie su orientamento sessuale, razza, origine etnica o religiosa, opinioni, o handicap fisici o età; princìpi riconfermati in seguito con l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea laddove si esplicita il divieto di «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali».
      La presente proposta di legge intende riconoscere il pluralismo culturale delle relazioni familiari, dando rilevanza giuridica a quelle unioni e a quelle famiglie di fatto, unite da vincoli affettivi e di comunità di vita che derivano da una convivenza stabile e non occasionale diversa dalle unioni fondate sul matrimonio, ma non per questo meno profonde, senza con ciò operare una indebita ingerenza nella sfera dei rapporti interpersonali che di per sé si pone in alternativa alla famiglia legittima fondata sul vincolo matrimoniale e che preferisce semmai ricorrere a forme di convivenza e unioni di fatto rimesse all'autoregolamentazione spontanea degli interessati.
      Ciò non toglie, evidentemente, che anche in questo ambito non vi sia in ogni caso la necessità di un intervento regolatorio a difesa di interessi rilevanti, in particolare allorquando subentra la cessazione della convivenza e le conseguenze
 

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sul piano economico sono rilevanti, o a difesa della tutela del soggetto economicamente più debole e dei minori.
      Al riguardo va sottolineato come il fenomeno delle famiglie di fatto abbia ormai assunto, anche nel nostro Paese, grandezze assai rilevanti: le convivenze di fatto, secondo i dati ISTAT, crescono in maniera esponenziale, facendo aumentare ogni anno il numero delle unioni di fatto, delle «unioni ricostruite» dove uno dei due conviventi è divorziato, separato o vedovo o non coniugato, e delle famiglie «ricostruite» a seguito di matrimonio. Oltre un quarto delle famiglie del Paese sono, infine, «monoparentali».
      La proposta di legge in esame si muove, altresì, in linea e conformemente a quanto già attuato in numerosi altri Paesi dell'Unione europea al fine di garantire alle coppie di fatto pari dignità sociale e uguaglianza di trattamento sul principio di non discriminazione, rispetto alle coppie legittime, in particolare riguardo ai figli.
      La legislazione francese, cui si ispira in particolare modo la proposta di legge, prevede una forma di unione tra le persone dello stesso sesso o di sesso differente, che comporta precisi doveri e diritti. La legge n. 99-944 del 15 novembre 1999, introduce infatti nell'ordinamento francese il «pacte civil de solidarieté et du concubinage», contratto concluso «tra due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, per organizzazione la vita in comune». Il patto per essere valido deve essere oggetto di una dichiarazione congiunta, presentata alla cancelleria del tribunale competente. In base all'articolo 1, il patto comporta precisi obblighi, tra cui l'aiuto reciproco e materiale. Con l'articolo 3 si disciplina inoltre l'unione di fatto («du concubinage») «caratterizzata per una vita in comune, stabile e continuativa, tra due persone, di sesso differente o del medesimo sesso, che vivono in coppia».
      Le coppie, in questo modo, possono scegliere liberamente se contrarre matrimonio, concludere un patto civile o, più semplicemente, convivere come unione di fatto.
      In Germania è stato introdotto l'istituto della «convivenza registrata» che assicura tutela giuridica alle unioni di egual sesso (Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften, vom 16 februar 2001 - Legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle coppie o dei conviventi di uguale sesso).
      La legge segue la risoluzione adottata dal Parlamento europeo l'8 febbraio 1994 sulla parità dei diritti per le persone omosessuali, e interviene sulla base dei princìpi costituzionali della Legge fondamentale tedesca secondo cui «ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l'ordinamento costituzionale o la legge morale» (articolo 2).
      L'unione deve essere registrata secondo le modalità definite dai diversi Land e i conviventi possono darsi un cognome comune. La legge obbliga i conviventi al sostegno e alla cura reciproci, riconoscendo ai contraenti dell'unione un diritto ereditario; all'atto della cessazione della convivenza, con sentenza, la parte economicamente più debole può avvalersi del diritto di richiedere gli alimenti.
      Nel Regno Unito si è proceduto al riconoscimento e alla disciplina delle «unioni civili» tra persone eterosessuali e degli accordi di convivenza delle coppie omosessuali, prevedendo i requisiti e la procedura per ottenere la «convivenza registrata», i diritti e i doveri che ne derivano, tra cui la successione ereditaria e nella locazione, prestazioni previdenziali e pensionistiche, nonché una serie di disposizioni in caso di cessazione della «partnership» e delle conseguenze di carattere patrimoniale. Ai contraenti è rilasciata una «license» dall'ufficiale di stato civile a fronte di una dichiarazione congiunta sottoscritta dagli interessati.
      In Spagna, infine, il Parlamento autonomo della Catalogna, con la legge del 15 luglio 1998 (Lej 1998, de 15 de julio, de uniones estables de pareva) ha istituito e disciplinato le «unioni stabili» sia tra eterosessuali che omosessuali. Per unione
 

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stabile l'articolo 1 della legge in esame intende quella convivenza tra un uomo e una donna, o tra persone del medesimo sesso, «che convivono come minimo da un periodo ininterrotto di due anni o hanno sottoscritto una scrittura pubblica» con la quale manifestano la volontà di unirsi nella forma stabilita. Le coppie eterosessuali possono ricorrere all'adozione in forma congiunta e, nell'insieme, si prevedono una serie di diritti e di doveri di carattere patrimoniale e assistenziale. I partner possono regolare (articolo 3) personalmente, in forma verbale, con scrittura privata o con atto pubblico, i rapporti patrimoniali derivanti dalla convivenza, così come i rispettivi diritti e doveri. Essi sono tenuti a contribuire al mantenimento della casa e della vita in comune con il lavoro domestico, con la collaborazione personale o professionale in proporzione alle proprie possibilità.
 

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